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Operai che emigrano al Nord e investimenti al rallentatore: Gela nel limbo post-raffineria

Di Maria Concetta Goldini |

A tre anni dall’intesa sottoscritta al Ministero dello sviluppo economico che ha sancito la fine della raffinazione del petrolio, Gela è una delle tante aree di crisi complessa d’ Italia. Un’area estesa che va oltre il Nisseno toccando pure la provincia di Ragusa , Enna e Catania. Un numero. Un’etichetta che di fatto è nulla finché Regione e Governo nazionale non indicano le risorse e le misure che mettono in campo per rendere appetibili nuovi investimenti nel sito industriale.

Oggi il primo scoglio è quello del costo delle aree industriali dell’Irsap : 20 euro al metro quadro a Gela, il prezzo più alto della Sicilia. Una questione sollevata più volte dall’amministrazione comunale. C’è l’Eni che mette a disposizione le aree dismesse della raffineria: a un bando di circa un anno fa hanno risposto varie aziende in gran parte del settore del trattamento dei rifiuti. Ma l’iter è ancora lungo e l’area industriale resta ancora solitaria e silenziosa.

E c’è chi vuole investire a Gela nell’area di crisi. Nel periodo tra il 15 febbraio ed il 15 marzo Invitalia per conto del governo ha lanciato una “call” nazionale di manifestazione di interesse a quanti volessero investire nell’area di crisi di Gela. Il risultato in termini numerici non è stato deludente: sono pervenute 491 schede progettuali ma 59 sono state scartate per incongruenze e mancanza di programma di investimenti. Ora Invitalia sta analizzando le 432 schede progettuali. È un iter lungo e complesso. E nel frattempo che si fa a Gela? Quale reddito per le famiglie? La situazione è sul filo del rasoio e dietro l’angolo c’è una nuova stagione di protesta degli operai dell’indotto che vogliono ritornare al lavoro o che stanno ricevendo ora le lettere di licenziamento. Proteste anche contro le ditte non locali che hanno commesse da Eni e che non rispetterebbero gli accordi sanciti in Prefettura di utilizzare prima gli operai dell’indotto disoccupati. Una situazione che è come una polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro mentre Gela che non vede la luce in fondo al tunnel è una città che si sta spopolando. Sul fronte politico lo stesso Pd che ha accolto trionfalmente Renzi a Gela il 14 agosto 2014 e applaudito alla sua promessa che «non un posto di lavoro si sarebbe perduto riconvertendo la raffineria» ora ufficialmente in aula consiliare – luogo dove gli operai vanno a scaricare spesso le loro tensioni, ha recitato il mea culpa sostenendo che l’accordo del novembre 2014 con il governo ed Eni va rivisto e rimodulato. In tutto questo pesa il silenzio della Regione e del suo presidente gelese. L’amministrazione comunale guidata da Domenico Messinese va e viene da Roma a sollecitare investimenti, bonifiche e rispetto degli accordi. La realtà è però oggi quella di una città che annaspa perché privata d’improvviso della sua principale fonte economica senza programmare con largo anticipo possibili alternative. L’industria pesante si è insediata 60 anni fa con un’imposizione dall’alto e con lo stesso metodo è stata cancellata.

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