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Cara di Mineo, «Noi assunti in cambio di voti»

Di Mario Barresi |

Catania –  È proprio vero: fare accoglienza dà anche il pane. L’ha sempre saputo bene Luca Odevaine, il Mr. Wolfe tarantiniano, che smistava essere umani come se fossero pagnotte: «Facciamo un euro a profugo», disse ai suoi “datori di lavoro” di Mafia Capitale mentre il Ros lo ascoltava.Il pane. Inteso come lavoro, in questo caso sporco: 5mila euro dalle coop rosse di Buzzi, 20mila da quelle di area cattolica. Ma il pane – quello onesto, per circa 700 persone occupate con dignità e professionalità, fra diretto, indotto e fornitori – è un elemento ricorrente al Cara di Mineo. Poteva essere una grande occasione per i 15 comuni del Calatino. E, in parte, lo è stata. Pagando però lo scotto di finire nel cuore delle inchieste giudiziarie. A partire da quella della Procura di Catania, che si avvicina alla richiesta di rinvio a giudizio, oltre che per l’ipotesi di turbativa d’asta, anche per corruzione elettorale.

CASTIGLIONE: MIO OPERATO TRASPARENTE

È ampia, nel fascicolo, la parte su quello che i pm Marco Bisogni e Raffaella Vinciguerra definiscono «mercimonio delle assunzioni» al Cara. Una «spregiudicata gestione dei posti di lavoro (circa 400) per l’illecita acquisizione di consenso elettorale». Con tre espliciti riferimenti: dal Pdl (Politiche 2013) a Ncd (Europee 2014), passando per la lista civica “Uniti per Mineo”, alle Amministrative 2013. Nelle 16 pagine dell’atto di conclusione indagini, individuano un procacciatore (Paolo Ragusa, ex presidente di Sol.Calatino, nell’Ati che gestisce il Cara) e due beneficiari: Giuseppe Castiglione, sottosegretario di Ncd, e Anna Aloisi, sindaco di Mineo.

L’ipotesi di reato si fonda su diversi elementi. I più decisivi, per l’accusa, sono anche i più dolorosi dal punto di vista umano. Perché si tratta delle testimonianze di chi un lavoro l’ha avuto. Al Cara o nelle coop. Per un breve periodo. Giusto il tempo di una campagna elettorale.

Le storie più esplicite, comunque, riguardano soprattutto le Comunali.C. G., assunto nel 2013 «fino alla fine del periodo elettorale», ricorda che «all’interno del consorzio Sol.Calatino si sono svolte riunioni politiche alle quali mi veniva espressamente richiesto di partecipare da parte del Ragusa». Il giovane riceve i nomi dei consiglieri da votare. Lui e i suoi familiari. «Dando per scontato che il mio rapporto di lavoro era evidentemente collegato all’accondiscendenza rispetto alle richieste politiche avanzate». Dopo un rinnovo di 11 giorni del rapporto di lavoro, infine, c’è chi festeggia l’elezione. E chi è di nuovo disoccupato: «Il mio contratto non venne rinnovato per la mia scarsa partecipazione alla campagna elettorale della Aloisi», racconta l’ex dipendente ai pm.Anche S. M. ammette ai magistrati la sua assunzione al Cara «due giorni prima delle elezioni per il sindaco di Mineo del 2013». Appena 14 giorni di lavoro. E poi, per motivi di salute, l’aspettativa. «Al momento della mia assunzione Paolo (Ragusa, ndr) mi ha esplicitamente richiesto di votare per la Aloisi» e di «far votare per lei le mie amiche». E lei che fece? «Ho accettato, ma poi non ho votato per la Aloisi perché sono andata in Svizzera».Il consigliere comunale di Mineo, Pietro Catania, sentito da chi indaga, cita il caso di un suo cugino di primo grado, disoccupato, che appoggiò Ragusa e Aloisi «anche in chiave di contrasto politico nei miei confronti». Come finì? Assunto.

Il rapporto fra il Cara e la politica non riguarda soltanto le Amministrative 2013 a Mineo. Perché la fideizzazione dei dipendenti è più estesa. Lo ammette anche M. C. S., dipendente di una coop, che si qualifica come «segretaria di Paolo Ragusa», dopo aver chiarito alcuni appunti (tipo “Chiamare X per Senatore Y”) rinvenuti in una delle agende sequestrate dai carabinieri.Il racconto parte da un luogo toponomastico dal forte simbolismo: il cortile della Cooperazione, a Mineo, che fino a qualche anno fa – prima del boom delle coop – si chiamava cortile Palermo «Nell’ufficio della Sol.Calatino capitava di occuparsi anche delle procedure di apertura dei circoli di Ncd della zona del Calatino. Io stessa mi sono occupata anche di queste incombenze unitamente a Ragusa. I soggetti che intendevano aprire un circolo dovevano versare 150 euro al partito che in alcuni casi raccoglievamo direttamente». Ai pm che le chiedono conto delle «molte coincidenze» fra i dipendenti delle coop e gli iscritti al partito, lei confessa candidamente: «In effetti ai dipendenti delle cooperative di Sol.Calatino viene richiesto da Ragusa o da Ferraro di iscriversi a uno dei circoli di Ncd, ma non si tratta di una imposizione anche se quasi tutti i dipendenti sono effettivamente iscritti a Ncd. Io stessa – certifica – sono iscritta a uno dei circoli, quello coordinato da Paolo Ragusa».

Ma lo scenario si legge in altri atti. Come ad esempio gli interrogatori di Odevaine: «Sulle assunzioni affrontammo più volte l’argomento con Ferrera, Cammisa e Melolascina e constatammo che queste fossero gestite con la finalità di avere un ritorno elettorale esclusivamente per l’Ncd», racconta in carcere ai sostituti procuratori catanesi. «Ragusa di fatto ha imposto i lavoratori a Sisifo e La Cascina, tale forza gli derivava dal rapporto diretto e forte con Castiglione», aggiunge, perché «per me era chiaro che Ragusa era la proiezione di Castiglione» sostiene il “Facilitatore”. Che, però, esperto di appalti, sa ben poco delle assunzioni.

Più esplicito è un altro indagato eccellente: Domenico Cammisa, manager de “La Cascina”. Chi segnalava i lavoratori? Alla domanda dei pm catanesi, i quali gli sventolano il verbale dell’interrogatorio di Giovanni Ferrera (direttore del Consorzio dei Comuni) che cita un colloquio fra i due, Cammisa risponde così: «Si disse che erano state assunte persone segnalate da Castiglione, dal Presidente della Regione, da Concetta Raia vicina alla Cgil, dalla Cgil stessa e dai sindaci del Consorzio». È ovvio che in quel «si disse» ci sono riferimenti, tutti da dimostrare, a persone non indagate. E, senza la data della «discussione fatta con Ferrera», non è dato sapere di quale governatore si stesse parlando. Le indagini coprono un arco temporale dal 2011 al 2015.Quando i magistrati gli fanno vedere l’email, acquista agli atti, con oggetto “schema Cara”, Cammisa ammette: «In effetti sulla la gestione del personale dall’inizio della nostra gestione, dal 2011, è stata affidata ai “locali” ovvero a Ragusa, Novello e Roccuzzo». E specifica: «Quando arrivavano i curricula era Paolo Ragusa che decideva e, quindi, indicava, chi assumere». L’uomo de “La Cascina” prova a opporsi, «ma con esito negativo», si lamenta «della qualità del personale» e «in effetti i dipendenti più scarsi li ho anche licenziati». Poi succede qualcosa. «Già un anno prima della terza gara, i rapporti tra Ragusa e La Cascina erano molto stretti tanto che potevano considerarsi un blocco unico rispetto a Sisifo», rivela Odevaine.

Tutto risolto. Anche perché, nel frattempo, stava per essere provato un problema “ambientale”. L’ostilità delle comunità locali.Odevaine, interrogato, ricorda «una riunione informale tra Ragusa, Cammisa e i sindaci del Consorzio» per parlare «della spartizione delle assunzioni dei lavoratori, nello specifico quale quota spettasse ad ogni comune».E lo stesso Cammisa rivela che «anche i sindaci che si lamentavano», dopo la gara del 2014, «mutarono il loro atteggiamento ostile». Perché «si fece uno studio statistico sulla percentuale di occupati dei comuni» e si concluse che «i sindaci avrebbero suddiviso le assunzioni in modo uniforme». E ricorda che un sindaco («un soggetto anziano») si lamentò perché « non avendo partecipato all’incontro sulla lottizzazioni, al suo comune non erano state riservate assunzioni». Chissà chi è?

Nelle carte quasi 100 pagine della testimonianza-fiume del sindaco di Ramacca, Franco Zappalà (Pd), che si dice «l’unico rimasto fuori dal sistema degli Sprar, che passava da Ragusa e dal sindaco di Vizzini». Ma Odevaine racconta: «Il sindaco di Ramacca era spesso in contrasto con gli altri componenti del consorzio, ma tale contrasto fu ricomposto da Ragusa». Il quale gli riferì «che aveva promesso al sindaco di Ramacca l’inserimento nell’Ati di una cooperativa da lui segnalata, cosa che in effetti fece». Tant’è che, dice Odevaine, «da quel momento l’atteggiamento del sindaco mutò radicalmente».

La moltiplicazione dei pani e dei pesci. Un fenomeno che nel centro d’accoglienza diventa trasversale, ben oltre Ncd. Il deputato nazionale del Pd, Giuseppe Berretta, autore di numerose interrogazioni parlamentari sul Cara «alle quali non è mai stata data risposta», ammette «l’esito sempre negativo» delle riunioni «in cui si sollecitavano i sindaci a lasciare il consorzio». Berretta ricorda anche un deliberato, approvato il 20 marzo 2015 dalla direzione provinciale del Pd, sullo scioglimento e commissariamento di “Calatino Terra d’Accoglienza”. Un atto «mai seguito dai nostri sindaci del consorzio e ciò non ha mai portato alcuna conseguenza per gli stessi».

Fra le poche autentiche “pecore nere” del sistema c’è Valerio Marletta di Rifondazione Comunista, sindaco di Palagonia: «Tutti quelli del mio paese entrati al Cara sono miei avversari politici e questo perché non sono entrato nel consorzio. Posso affermare con ragionevole certezza che, se avessi deciso di aderire, come comune, al consorzio, avrei verosimilmente avuto a disposizione un pacchetto di assunzioni», racconta ai pm.

L’accoglienza che dà il pane significa anche far lavorare i fornitori. Con fatture milionarie per un centro che ha ospitato anche più di 4mila persone. «Ho accolto le segnalazioni di Ragusa per i fornitori in quanto lui era molto pressante», ammette Cammisa. “La Cascina”, rivela il manager, accetta la fornitura di un panificio e di una macelleria di Mineo sollecitate da Ragusa al grido di «se il “territorio” non fosse stato accontentato, il “territorio” si sarebbe incazzato». E quindi? «Ho compreso che se non avessimo accolto le indicazioni di Ragusa avremmo potuto avere ritorsioni pesanti sulle nostre attività». La coop accetta: «Per il pane abbiamo pagato circa 20mila euro all’anno in più rispetto ad una qualsiasi altra fornitura dello stesso prodotto». In soldoni: 2,40 euro al chilo, «più del doppio» della media (0,90/1,10 euro) che il colosso cattolico della cooperazione paga nel resto d’Italia, come si legge in una mail agli atti dell’inchiesta.

Come volevasi dimostrare: l’accoglienza, al Cara di Mineo, ha dato il pane. Ma il prezzo non è giusto. Troppo caro. Per tutti.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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