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Catania, sacchi d’erba all’anfiteatro: mancano i soldi per rimuoverli

Di Pinella Leocata |

A inviarci la foto, e a segnalare la vicenda, è un cittadino, Umberto Bellini, che la correda con poche, sgomente, parole. «Domenica scorsa, San Giuseppe, passeggiata in via Etnea, piazza Stesicoro. Vengo incuriosito da un gruppo di persone che scattano foto particolarmente su un lato dell’anfiteatro. Mi avvicino ed anch’io non posso fare ameno di riprendere lo sconcio: sacchi neri di … che fanno mostra e chissà per quanto ancora».

Ma l’immagine racconta una verità parziale. La realtà è più complessa e persino peggiore di quella che il lettore denuncia, ma per motivi differenti. Questa è una piccola storia emblematica del modo in cui in Sicilia vengono gestiti i beni culturali.

Innanzitutto un’informazione. I sacchi sono pieni di erba, frutto del lavoro di sfalciatura predisposto dalla direttrice del «Polo museale» (termine con cui si definisce l’area archeologica) per liberare il monumento dalle erbacce, tanto più in considerazione dell’arrivo della stagione primaverile. «La responsabilità è mia», esordisce la dott. Maria Costanza Lentini. E sono parole che spiazzano nel Paese dell’irresponsabilità e dello scarica barile. E sorprende ancora di più capire il perché della situazione.

«Ho disposto che l’erba tagliata non fosse lasciata all’aperto in cumuli, perché non si disperdesse, ma raccolta in sacchi. Avremmo potuto triturarla per poterla smaltire come rifiuto organico, ma non abbiamo il macchinario adatto né l’operaio. Bisognava chiamare una ditta che portasse via i sacchi con un camion, ma bisogna pagarla e noi soldi non ne abbiamo. Non ne avevamo neppure per la sfalciatura che abbiamo potuto fare cercando qualcuno che lo facesse per noi gratuitamente. Lo ha fatto l’Ibam (Istituto per i beni archeologici e monumentali), all’anfiteatro e al teatro. Avrei dovuto anticipare io i soldi, come ho fatto spesso, o chiedere al sindaco, come farò subito, che ci metta a disposizione un camion per lo smaltimento dei rifiuti».

E aggiunge. «Il fatto che non abbiamo soldi per la manutenzione non ci esime dal tenere bene i monumenti, dal fare di tutto per affrontare la situazione. L’alternativa sarebbe restare immobili, non fare nulla. Non la penso così. Piuttosto avrei dovuto fare appello ai cittadini e all’orgoglio per i nostri monumenti».

Una motivazione che lascia di sasso, sbalorditi, perché i fondi per le piccole manutenzioni arriveranno soltanto quando sarà approvato il bilancio regionale, cioè non prima di giugno. E intanto arriva la stagione calda, con il rischio di incendi, con l’arrivo di tanti visitatori e turisti cui è doveroso fare trovare i mon. E quando arriveranno si tratterà di somme irrisorie che la dirigente del Polo dovrà farsi bastare. «L’anno scorso sono stati 2000 euro».

Si apre così un altro, drammatico, capitolo: quello della gestione regionale dei beni culturali finanziati con generosità solo fino a quando i fondi potevano essere usati dai politici di turno in modo discrezionale ai fini di consenso elettorale, nella migliore delle ipotesi. L’archeologa Mariarita Sgarlata, per quasi due anni assessora ai Beni culturali della prima Giunta Crocetta, nel suo prezioso libro sulla gestione dei beni culturali in Sicilia, «L’eradicaione degli artropodi», cioè delle zecche, le zecche politiche che succhiano il sangue e impoveriscono il nostro territorio, dà alcuni dati sconcertanti. La spesa per i Beni culturali dal 2003 al 2009 fa un balzo senza precedenti, si arrivano a mettere in bilancio dai 400 ai 600 milioni, poi il crollo. Negli anni che vanno dal 2013 al 2015 nel bilancio regionale sono stati stanziati soltanto 10-11 milioni l’anno, una miseria. E nel bilancio di previsione 2014-16 sono stati previsti solo 1.3000.000 euro per il capitolo utenze, servizi ausiliari e spese di pulizia. «Ma si ottiene meno della metà con il risultato che, in molte sedi, telefoni e internet non funzionano da tempo e i bagni vengono puliti dagli stessi funzionari».

Questo è il vero scandalo. Questo è quello contro cui i cittadini dovrebbero ribellarsi.

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