Il personaggio
Josephine Giadone: «Il mio ballo a piedi nudi»
La danzatrice e coreografa nissena, dopo essersi formata tra il centro della Sicilia e il Sud Italia - dove ha potuto approfondire la pizzica e la taranta - ha fondato CCu i pedi i fora, la compagnia femminile di danze popolari alla quale insegna i ritmi del passato, l’importanza delle radici e il legame con quella terra su cui i loro piedi scalzi lasciano il segno
Quando balla sorride. Sono gli occhi di Josephine Giadone che ridono, e quando balla è energia, passione, sensualità. Non una danza moderna, ma danze popolari, dalla pizzica alla taranta.Coreografa, ricercatrice dei ritmi del passato, quella di Josephine è una passione che viene da lontano, coltivata a Caltanissetta, sua città d’origine. Lei danza a piedi nudi nella sua sala con le allieve e gli allievi che diventano gruppo, e a volte anche famiglia, insegna loro cosa vuol dire restare legati alla terra, alle tradizioni, e i piedi che stanno a contatto con il pavimento ne sono il primo segno, per lasciare una traccia. Quarantuno anni, una folta chioma corvina ed il ballo nel sangue sin da bambina. Il suo nome in onore di Josephine Baker, la cantante e danzatrice statunitense che sua madre ha sempre amato, e che forse le ha segnato il destino. Josephine ha iniziato piccolissima a danzare, spinta sempre da quella mamma che ama la musica ed il ballo. Un figlio in giovane età e la scoperta di un corpo nuovo, che ancora voleva danzare.
Josephine Giadone, 41 anni, è a capo del gruppo di danza popolare “Ccu i pedi di fora” che ha fondato dieci anni fa a Caltanissetta
«Quando sono rimasta incinta a 19 anni, mi sono fermata per qualche mese – racconta – a quell’età, in quella situazione fragile, ero in crisi. Il richiamo selvaggio della mia danza era però dentro di me. Sentivo che mio figlio mi dettava i passi da fare, lui mi incoraggiava al movimento, così non ho avuto più paura e con una pancia enorme ho continuato a ballare, ho ballato l’amore, la sessualità, e ne è nato anche un pezzo che si chiama Aiu fattu na vita di diri minchiati». Il primo incontro con le danze popolari è stato con il flamenco che ha studiato per cinque anni con Deborah Brancato , ma il vero inizio è segnato dalla ricerca delle danze del sud Italia. «La pizzica è una danza di gioia – spiega alle allieve, mentre con una mano alza la gonna – o la si balla con un uomo o con una donna comunque parla di sé».
Non c’è niente di codificato nelle danze popolari, una tradizione che si tramanda solo ballando, questa è la difficoltà di chi fa ricerca, pochi libri e tanta strada. «Me ne andavo a tosare le pecore tra i paesini di montagna dell’Ennese, mangiavo con i pastori con le loro famiglie e dopo ballavamo. Loro fanno questo nella vita, sempre. Noi siamo solo entrati nel loro racconto. Ricordo lo zio Lio, un uomo di 90 anni, che teneva il passo più dei giovani». Josephine ha trascorso molti anni in giro per il meridione, ed in particolare nel Salento, dove si è avvicinata alla taranta e del tarantismo, allo studio entnoantropologico e ha fatto la prova del fuoco: una seduta di tarantismo come si faceva una volta. «Ti spingi dove il corpo ti spinge, e lo porti dove vuoi tu. La prova del fuoco è una seduta psicanalitica -dice portandosi le mani al petto -. Un’esperienza forte, intensa, che non si può fare senza una preparazione. Le donne raccontavano attraverso il corpo la loro insoddisfazione, il rifiuto della loro condizione. Per le donne il tarantismo era una liberazione, e dunque la taranta è una danza di ribellione e liberazione».
Josephine Giadone e la pizzica salentina
Dalle montagne dell’Ennese ai paesini del Salento, ad un certo punto la svolta: sale sul grande palcoscenico del Parco della Musica di Roma con l’Orchestra Popolare Italiana, diretta da Ambrogio Sparagna, con Francesca Trenta, tra le più rinomate danzatrici di balli popolari. Dieci anni fa Josephine ha fondato il gruppo Cu i pedi di fora e, innamorata delle tammuriate, insegna il balletto antico alle sue ragazze con i piedi di fuori, e loro lo portano in giro per le piazze, per i teatri, sul sagrato delle chiese. Josephine ha cominciato le sue produzioni nel 2012, ed ad oggi ha tre spettacoli di teatro-danza al suo attivo: Cambiavento, Il Silenzio, e Adams che vede in scena danzatori e diversamente abili insieme.
Josephine Giadone
Il suo prossimo spettacolo si intitolerà La donna scheletro ed è tratto da un libro di fiabe. Josephine Giadone mette in scena un teatro-danza che prende si le mosse da Pina Bausch, ma poi nella sua testa e nei suoi piedi diventa sempre altro. E’ una donna alla ricerca Josephine, inquieta, curiosa, la sua prossima sfida sarà una compagnia mista con i diversamente abili. «Finchè un dito si muove si può ballare, diceva Maria Fux – continua a la danzatrice – io vedo la disabilità sempre come una nuova opportunità».
La sua strada ha incrociato quella della danzaterapia, il metodo Fux ed il desiderio di lavorare in questo capo. E’ una danza dell’io, una danza dei sentimenti, dell’interiorità, dell’emotività, quella di Josephine Giadone: «Se ogni donna ci mettesse dentro un po’ di verità – dice – tutte potremmo danzare la mia danza, perchè è un raccontarsi dentro note talvolta fragili, talvolta davvero potenti». Sta seduta su uno sgabello basso, nella grande sala piena di specchi, la sua gonna lunga bianca a balze le copre i piedi, ha i capelli scompigliati il viso arrossato dopo un’ora e passa di lezione. Josephine racconta la sua vita, parla dei progetti futuri e degli spettacoli che arriveranno, dei viaggi che farà nelle piccole comunità. Come una nomade della ricerca musicale, come una sorta di archeologa della danza alla scoperta di nuovi suoni, per continuare a ballare alle feste di paese, con il suo tamburello in mano.
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