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Per Miccichè “leghista del Sud” ora Salvini è un po’ meno «str…»

Di Mario Barresi |

Catania – Poco dopo aver precisato che «io non li ammazzerei uno a uno», pur confermando che «sono buzzurri», l’ultimo attacco risale all’escursione a Favignana, al capezzale della tonnara in crisi. In un comizio sul balcone, Gianfranco Miccichè, venerdì scorso, arringa i pescatori: «I leghisti ci vogliono soltanto ammazzare». E Matteo Salvini? «Ha sempre offeso i siciliani. Ricordiamocelo dentro le urne».

Dopo il fiele, il miele. Ieri arrivano le parole Michele Mancuso, deputato all’Ars, fedelissimo del commissario regionale di Forza Italia: «Se qualcuno mi chiedesse chi è più leghista tra Salvini e Miccichè, io risponderei tutti e due. Uno del nord, che bravissimo ha conquistato l’Italia, l’altro del sud che ugualmente bravo è rimasto tra i pochi a parlare ancora di politica». E dunque, «sperando in una loro riunificazione per eliminare del tutto il populismo strumentale dei grillini», la tesi dei “gemelli diversi” si spinge quasi fino al misticismo: «Se il problema sono gli sbarchi dei migranti, sono certo che il livello culturale e politico di Miccichè e Salvini sia tale da permettere a entrambi di trovare una soluzione che si possa definire cristiana». La conferma che Mancuso non sia stato vittima del solleone di queste ore è nelle parole di Giuseppe Milazzo, che, intervistato da LiveSicilia, scandisce: «Miccichè può stare con Salvini se lavoriamo a quello che ci unisce». Anche il capogruppo forzista, ormai prossimo eurodeputato, è un pretoriano del presidente dell’Ars. Il quale, fra l’altro, ha detto al ministro dell’Interno che è «stronzo» e «peggio di Hitler».

Perché questo improvviso intenerimento degli iper-miccicheiani sul nemico razzista? Cos’è successo?

Negli ultimi tempi, in effetti, qualcosa è successo. Miccichè, all’inizio della scorsa settimana, ha avuto uno «schietto confronto» (a Palermo, in occasione della kermesse di scherma) con Giancarlo Giorgetti. Il sottosegretario – eminenza grigia leghista, ma dall’allure democristiana – avrebbe rinfacciato al viceré berlusconiano le sue «sparate contro Matteo sui migranti», prospettandogli però uno scenario che emerge dai sondaggi. Lo stesso che da giorni va ripetendo anche Marco Falcone, assessore regionale dell’ala etnea lealista che mollò il fuggiasco Salvo Pogliese: «Gianfranco, senza di noi la Lega in Sicilia alle Politiche non vince. Lo sappiamo noi e lo sanno loro. La campagna sui migranti non ci porta voti: chi è di sinistra non sarà mai con noi e anzi fa scappare i nostri verso Salvini». Miccichè ha ascoltato Giorgetti – meno integralista di altri sulla necessità di un asse con FdI, che in Sicilia avrebbe la terza gamba musumeciana – ammettendo qualche «eccesso verbale». Ma restando orgogliosamente fermo su un punto: «Voi, la Sicilia, dovete rispettarla con i fatti». E rilanciando sullo scandaloso “ratto” delle quote tonno, sul quale l’interlocutore era piuttosto imbarazzato. «Ne riparleremo», il commiato, tutto sommato cordiale, fra i due teorici alleati.

Il secondo evento matura un paio di giorni fa ad Arcore. L’allarme rosso alla lettura degli ultimi sondaggi in cui Forza Italia è fra il 6,3 e il 7%, già in calo rispetto al flop delle Europee. Una tentazione in più, per il Salvini pigliatutto, per correre alle Politiche senza gli azzurri. E quindi Silvio Berlusconi avrebbe dato mandato ad Antonio Tajani di accelerare nelle manovre di riavvicinamento alla Lega. Con un input, poi arrivato anche sotto lo Stretto, anche sulle «posizioni estreme dei siciliani contro Matteo». E allora non sembrano più casuali le sviolinate dei Micci-boys al ministro che «più cancerogeno di lui non ce n’è», sfidato più volte dal loro dante causa. E anche sulla costruenda casa dei moderati (capocantiere, oltre a Miccichè, il dem Luca Sammartino), il Cav era stato chiaro in una recente intervista a La Sicilia: Gianfranco «è uno dei miei più antichi e fidati collaboratori». Premessa: «Gli voglio bene anche perché ama le provocazioni politiche e ha una visione coraggiosa e senza pregiudizi». Conclusione: «Questo non significa che io sia sempre d’accordo con lui: siamo un grande partito liberale nel quale esistono posizioni diverse anche sul rapporto con la Lega».

E questa posizione ecumenica, col Carroccio da riagganciare in un’alleanza “modello Musumeci”, ora diventa quasi un diktat. Che non è detto sia del tutto sgradito allo stesso Miccichè. Il quale – con un robusto 17% a maggio, il doppio della media nazionale del partito e soprattutto con una leadership siciliana da confermare – ha tutto l’interesse a evitare eccessi anti-salviniani. Fumare il calumet della tregua, del resto, è a costo zero. Per riposizionarsi, in caso di un “liberi tutti”, c’è sempre tempo.

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