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Open data, il ddl della Regione Sicilia su una materia in cui credono in pochi

Di Redazione |

PALERMO – Con il ddl presentato ieri la Regione siciliana prova a fare quello che non riesce a fare la gran parte delle amministrazioni pubbliche nazionali, ovvero rendere accessibili a tutti sul web i dati delle stesse amministrazioni, senza restrizioni di copyright, brevetti o altre forme di controllo che ne limitino l’utilizzo. L’obiettivo dichiarato dalla Regione sarebbe quello di per superare il “gap” con le altre regioni d’Italia in tema di politiche di dati aperti (open data) e di amministrazione aperta ai cittadini digitali (open government). Sono gli obiettivi del disegno di legge sull’Open data, presentato in conferenza stampa dall’assessore regionale all’Economia e vicepresidente della Regione, Gaetano Armao, approvato ieri sera dalla giunta regionale.

Il ddl – presentato dall’assessore regionale all’Economia e vicepresidente della Regione, Gaetano Armao e approvato ieri sera dalla giunta regionale – pone l’accento sull’importanza del riutilizzo delle informazioni pubbliche non solo «come approccio più trasparente dell’azione pubblica verso cittadini e imprese, ma anche per lo sviluppo economico e sociale del territorio – si legge nel ddl -. Tali dati, resi accessibili in modalità “open”, costituiscono un servizio pubblico e per le imprese che intendono riutilizzarli un’occasione di sviluppo in quanto consentono di sfruttarne il potenziale, contribuendo alla crescita economica e alla creazione dei posti di lavoro».

Il ddl, in 6 articoli, stabilisce che la Regione, gli enti locali, gli istituti, le aziende partecipate o sottoposte al controllo della stessa, utilizzeranno le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per rendere fruibili i dati pubblici, assicurandone la divulgazione online in formato aperto e riutilizzabile e sono accessibili in modo gratuito tramite internet.

«La Sicilia già dal 2011 è stata tra le prime regioni a fornire set di dati in formato aperto per il portale italiano sugli Open data varato dal governo nazionale – ha detto Armao – ma nell’ultimo quinquennio si è registrato un sostanziale stallo. Dopo il recepimento del codice dell’amministrazione digitale potremo completare il quadro normativo, permettendo ai siciliani l’esercizio della cittadinanza digitale attraverso la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico. Garantiremo, così, più trasparenza, più diritti di cittadinanza, più controllo sociale sull’amministrazione». 

Obiettivo encomiabile, anche se va detto che secondo le ricerche condotte dall’Osservatorio eGovernment sulle PA locali e da Unioncamere sulle imprese italiane solo un comune su tre (i Comuni detengono una parte consistente dei dati di interesse pubblico, come quelli su trasporto pubblico, turismo, cultura e attività produttive) pubblica dati in formato open. E quando avviene, questo è percepito dagli enti più come un obbligo normativo che un’opportunità, anche perché si fatica a comprenderne la reale utilità: i dati sono di bassa qualità, poco accessibili, non uniformi per un utilizzo a livello nazionale. E così, l’80% dei Comuni non riscontra alcun impatto positivo dalla pubblicazione di open data e il 55% li ritiene addirittura inutili o poco utili per la crescita del tessuto imprenditoriale. Quindi si può dire che gli open data sono un settore su cui ancora pochi credono e investono. Eppure il governo Musumeci, che fin qui ha approvato una decina di leggi e non tutte di primaria importanza, ora ha deciso investire tempo e risorse in un ddl che potrebbe anche rivelarsi inutile.  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA