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Relazione shock su morte Scieri: «Fu aggredito: non è stato suicidio»

Di Massimo Nesticò |

ROMA – La morte di un giovane parà in caserma, causata da un’aggressione avvenuta in un ambiente dominato dal nonnismo, è stata spacciata per suicidio e le vere responsabilità sono state coperte per anni dalla catena di comando della brigata Folgore. Questa la conclusione cui è giunta la Commissione parlamentare d’inchiesta su Emanuele Scieri, militare siracusano trovato cadavere il 17 agosto 1999, ai piedi di una scaletta della caserma Gamerra di Pisa, dove “avvenivano gravi atti di violenza, non riconducibili a semplice goliardia”. Scieri ha già 27 anni, una laurea e svolge pratica legale quando viene richiamato sotto le armi nel luglio del 1999. Finito il Car a Firenze, il giovane è trasferito su un pullman verso la Gamerra con altri commilitoni il 13 agosto. Emanuele sistema i bagagli in camerata e, insieme ad altri, esce per una passeggiata nel centro di Pisa. Rientra in caserma alle 22.15, ma al contrappello delle 23.45 non risponde. Nonostante diversi colleghi riferiscano che è tornato in caserma, Scieri viene dato per non rientrato. In realtà a quell’ora è già morto. Il cadavere resta tuttavia ai piedi della scala della torre di asciugatura dei paracadute – posto frequentato dagli ‘anzianì della caserma – per tre giorni. Solo il 17 viene ritrovato.

«Gli elementi da noi riscontrati dopo aver acquisito quasi seimila pagine di documenti e svolto 45 audizioni – spiega la presidente della Commissione, Sofia Amoddio (Pd) – consentono di escludere categoricamente la tesi del suicidio o di una prova di forza alla quale si voleva sottoporre Emanuele scalando la torretta, tesi che nel ’99 la catena di comando della Folgore suggerì alla magistratura. La consulenza cinematica di tecnici specializzati ha accertato che la presenza di una delle sue scarpe ritrovata troppo distante dal cadavere, la ferita sul dorso del piede sinistro e sul polpaccio sinistro sono del tutto incompatibili con una caduta dalla scala e mostrano chiaramente che Scieri é stato aggredito prima di salire sulla scaletta». Non sono stati facili i lavori della Commissione che ha dovuto ingoiare tanti «non ricordo» e procedere in mezzo ad una persistente cappa di omertà da parte di molti dei protagonisti della vicenda, tra i quali colui che all’epoca era il comandate della Folgore, il generale Enrico Celentano, autore del famigerato ‘Zibaldonè, una sorta di raccolta di vignette, motti di spirito e «regole» del nonnismo. Verso questa pratica, evidenzia Amoddio, in quel periodo alla Gamerra c’era «una altissima, sorprendente tolleranza». Vigeva una sorta di “disciplina parallela, legata non ai regolamenti formali ma ai concetti di consuetudine e tradizione».

La relazione rileva inoltre anomalie da parte dei carabinieri che svolsero i rilievi sul corpo. Il cadavere di Scieri «fu manipolato per estrarre dal marsupio il telefono cellulare del ragazzo e risalire al suo numero di telefono». La commissione ha fatto dunque emergere «le falle e le distorsioni di un sistema disciplinare fuori controllo ed ha rintracciato elementi di responsabilità» depositandoli presso la Procura della Repubblica di Pisa, che ha riaperto le indagini. Ora, conclude Amoddio, «speriamo che il nostro lavoro possa restituire verità e giustizia alla memoria di Emanuele, alla sua famiglia e alla democrazia del nostro Paese». 

La famiglia Scieri

«Dedichiamo questa giornata, che certifica le tesi che noi abbiamo sempre sostenuto, a mio padre Corrado che non c’è più». Così Francesco Scieri, fratello di Emanuele, commenta la notizia che secondo la commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte del militare suo fratello nell’agosto del 1999 alla caserma Gamerra di Pisa non si suicidò, ma venne aggredito. «Hanno certificato che Emanuele non era una testa calda, e non era depresso e quindi non si sarebbe suicidato come da noi sempre sostenuto. Il suo non è stato un mancato rientro, ma poteva essere soccorso se lo avessero cercato – aggiunge – Ed è sopravvissuto dalle due alle sette ore: invece lo hanno abbandonato al suo destino. Mio padre ha sempre detto che le indagini non erano mai state fatte con rigore ma era stato inquinato anche il luogo del ritrovamento. Tutti i procedimenti aperti non hanno mai riscontrato alcun tipo di responsabilità, quando invece tutti sapevano che quello era un territorio franco dove i cosiddetti ‘nonnì facevano quello che volevano».

Francesco ha ringraziato la commissione parlamentare: “Avevamo una speranza: restano dolore e rabbia. Emanuele non ce lo restituisce più nessuno. Ma ci auguriamo che la Procura di Pisa possa scoprire qualcosa. Sapere la verità può aiutare ad evitare ci siano altre morti. Penso all’altro militare siracusano, Tony Drago. Non ci importa sapere chi sono i responsabili, ma vogliamo sapere cosa è successo veramente: troppe bugie sono state dette”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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