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Rifiuti, il paradosso della Sicilia: cumuli per strada, differenziata che peggiora e tassa alle stelle

Di Gioacchino Schicchi |

Non il peggior risultato regionale

Subito prima di noi, in questa scala troviamo infatti la Campania, dove si pagano 427 euro annui. Una maledizione del Sud Italia, complessivamente, dato che suddividendo i dati per area geografica si rileva che si spende mediamente più nel tacco dello Stivale (343 euro) nonostante una riduzione rispetto al 2015 dello 0,5%; seguono le regioni centrali (309 euro) con un aumento del 1,9% rispetto al 2015 ed infine le aree settentrionali (257 euro) con un +0,5% rispetto al 2015.

 

I dati dei nove capoluoghi

Andando al dettaglio siciliano il risultato peggiore è quello di Siracusa, con un costo di 486 euro, in linea con l’anno precedente. Seguono Catania (427 euro), Messina (413 euro), Ragusa (408 euro), Agrigento (401 euro), Trapani (383 euro) ed Enna (316 euro). Chiude la fila Caltanissetta con un costo di 288 euro. Tre capoluoghi siciliani, inoltre si trovano nella “Top Ten” 2016 per costo. Sul terzo gradino del podio troviamo Siracusa, che si piazza dopo Reggio Calabria (579 euro) e Cagliari (495 euro). Chiudono la classifica all’ottavo e al nono posto Catania e Messina, con la città dello Stretto “new entry” rispetto all’edizione 2015. Inutile, ovviamente, cercare città del Sud nella “Last Ten”, ovvero le dieci città dove il servizio costa meno, mentre invece robusta è la rappresentanza sicula nella classifica dei capoluoghi che hanno fatto registrare maggiori rincari rispetto al 2015. Troviamo infatti Messina (+4,1%); Ragusa (+ 3,9%), Agrigento (+2,2%) e Catania (+ 0,1%). Unico capoluogo siciliano dove la Tari è diminuita è Palermo, dove la flessione è stata del -6%.

Mancano i perché

Il rapporto non spiega perché la bolletta per i cittadini pesa sempre di più, perché le variabili sarebbero troppe e troppo varie. Crea, tuttavia, quasi un implicito collegamento a quanti rifiuti non sono oggetto di processi di recupero e l’ammontare del costo per i cittadini. E in tal senso, i dati non sono in favore della Sicilia. Anzi. Usando come parametro lo studio Ispra 2015 sui rifiuti (l’edizione 2016 sarà presentata a Roma il prossimo 30 novembre), se la nostra regione ha prodotto circa la metà dei rifiuti della Lombardia (2.342.219 tonnellate contro 4.642.315 tonnellate, ovvero 4 chilogrammi di rifiuti pro capite in meno per abitante), in Sicilia la differenziata era inchiodata al 12,5%, (-0,8% rispetto al 2013), fanalino di coda del Sud Italia, con l’84% dei rifiuti che finisce in discarica. Trend di massima confermato nel dettaglio provinciale. Nel 2015 il capoluogo che ha prodotto più rifiuti è stato Catania, con 679 chili per abitante, mentre il meno produttivo è stato Enna, con 444 chili. Il centro che però ha fatto registrare i migliori dati in termini di differenziata risulta Ragusa con il 17,3% , mentre chiude la fila Siracusa, con il 2,8% (dati Legambiente). Basta questo per individuare le cause? In parte. Non solo perché lo studio non entra nel dettaglio (incidenza, ad esempio, dei costi di conferimento in discarica rispetto al costo del servizio di igiene ambientale), ma anche perché non indica l’esistenza delle innumerevoli situazioni di criticità che, pure, non sono mancate in Sicilia.

L’emergenza e i costi

I mesi “caldi” della chiusura degli impianti per consentire agli stessi di essere dotati di biostabilizzazione questa estate, hanno costretto centinaia di comuni a sobbarcarsi costi enormi per il conferimento a causa dello spostamento in impianti lontani anche 200 chilometri. Questo porterà molte Amministrazioni a dover aumentare anche del 10/15% la Tari per il prossimo anno. Soldi che, considerato il tasso di evasione medio siciliano (e, ancora oggi, la generale scarsa incidenza positiva della differenziata), in gran parte saranno poi le casse dei Comuni a dover versare come debiti fuori bilancio. Una emergenza che l’Anci siciliano, partendo dai sindaci dell’Agrigentino, aveva fatto propria dinnanzi al governo regionale, ad oggi senza ottenere risposte operative. Anzi. Nei giorni scorsi l’Associazione dei sindaci aveva scritto al presidente della Regione e all’assessore Contrafatto contestando (con un pizzico di sollievo) la mancata adozione di quanto Crocetta aveva previsto lo scorso 7 giugno nell’ordinanza 5/rif. Questa, prevedeva la creazione di commissari straordinari che avrebbero dovuto mettere le mani nelle casse dei comuni per adeguare le aliquote Tarsu e Tari “in coerenza – si diceva – allo standard medio di riferimento per la tariffa per i comuni compresi nell’ambito territoriale ottimale di riferimento, tenendo conto del livello di effettiva riscossione nell’ultimo triennio… nel caso in cui si determini uno scostamento a quanto necessario a garantire la corretta gestione del servizio, (i commissari ndr) sono tenuti comunque a individuare nel bilancio comunale le risorse finanziarie ulteriori rispetto a quelle provenienti dalla tariffa ”. Una misura inapplicata e, dice Ance, “non applicabile stante il significativo impatto sui bilanci”. Per questo l’associazione “chiede di conoscere con quali risorse e con quali modalità si intende intervenire per coprire i maggiori costi determinatisi sul servizio di gestione dei rifiuti a seguito dell’emergenza”.

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