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Pozzallo, fermati 7 scafisti traditi dai “selfie” sul barcone

Pozzallo, fermati 7 scafisti traditi dai “selfie” sul barcone

Si tratta di sette egiziani ritenuti gli scafisti che hanno condotto in Italia 442 migranti, salvati da un mercantile che è arrivato a Pozzallo, compresi un centinaio di palestinesi in fuga da Gaza

Di Francesco Terracina |

PALERMO – I sette scafisti egiziani fermati oggi a Pozzallo (Ragusa) avevano tentato di spacciarsi per palestinesi: «Viviamo a Gaza – hanno detto agli uomini della squadra mobile di Ragusa – e siamo scappati dalla guerra, credeteci». L’implorazione, pronunciata con un accento molto riconoscibile, non ha funzionato. A smentirli ci hanno pensato prima gli interpreti e poi i migranti trasportati a bordo del barcone soccorso nel pomeriggio del 25 agosto dalla nave porta container “Aquila” a sud di Creta. Ma ci hanno pensato soprattutto loro, gli scafisti, tra una spacconeria e l’altra, a fornire la prova regina agli investigatori: nei loro telefonini la polizia ha trovato i selfie che li ritraevano nella plancia di comando dello yacht di 26 metri, come se fossero stati in gita. Presi dall’euforia (l’affare ha fruttato 1,1 milioni di dollari: ogni migrante ha sborsato 2.500 euro), non hanno risparmiato scatti per immortalare la loro lucrosa avventura a bordo di uno yacht un po’ vintage, che in altre stagioni avrà visto scorrere champagne; ma non nel suo ultimo viaggio, concluso con l’abbandono alla deriva in mezzo al Mediterraneo. Nello yacht, infatti, la cambusa per la “classe profughi” custodiva soltanto qualche tanica d’acqua da razionare a gocce per i 13 giorni di navigazione, un pò di pane e razioni omeopatiche di companatico. Il viaggio, come hanno raccontato i migranti – quasi tutti palestinesi e siriani, e una quarantina di ragazzini egiziani non accompagnati, qualcuno di 10 anni appena – è cominciato da una spiaggia vicino ad Alessandria. Poi due tappe lungo la costa egiziana per caricare altra gente, trasbordandola ogni volta su un’altra imbarcazione sempre più capiente. Fino al soccorso delle 442 persone (più i sette scafisti) e all’arrivo nella tarda notte di ieri nel porto del Ragusano. Uno dei migranti, un palestinese, interrogato dalla polizia, ha spiegato di essere fuggito a causa del conflitto tra Hamas e Israele e di aver avuto la casa distrutta. È andato in Egitto con l’intenzione di raggiungere l’Europa e spostarsi in Germania. Dopo due settimane di cammino, una volta passata la frontiera con l’Egitto – ha raccontato agli uomini della mobile di Ragusa – si è diretto ad Alessandria, sapendo che lì non sarebbe stato difficile contattare qualcuno che organizza viaggi per l’Italia. E così è stato. Ma c’era un problema: non aveva soldi e l’ha confessato a uno degli organizzatori delle traversate, per sentirsi subito rassicurato: fai una telefonata ai tuoi e un nostro uomo di stanza a Gaza andrà da loro a prendere il denaro. «Ho chiamato mio padre», ha detto il palestinese, e il piano è stato portato a termine. Poi l’uomo ha raccontato il viaggio: «Il cibo, che ci veniva distribuito solo la sera, era esclusivamente costituito da pane duro – dice – e formaggio e non riusciva a smorzare il morso della fame. Anche l’acqua, dal gusto ripugnante, risultava insufficiente ai nostri fabbisogni; la razione che ci veniva distribuita era di mezzo bicchiere. Eravamo costretti a rimanere al nostro posto anche se ci veniva permesso di andare in bagno senza chiedere l’autorizzazione. Per ogni altra cosa si doveva essere autorizzati da uno dei componenti dell’equipaggio. Tutti quanti ci trovavamo sulla coperta. Spesso quelli dell’equipaggio ci insultavano e minacciavano senza motivo», tra un selfie e l’altro.

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